mercoledì, gennaio 23, 2008





La città più fredda della Siberia
e del mondo. All’aria aperta si
resiste mezz’ora

Questa è la città più fredda del mondo. Si chiama Yakutsk, solo un puntino sulla cartina, dentro la Siberia. Un posto dove quelli che vengono da fuori non viaggiano mai da soli, perché se ti fermi senza nessuno che ti aiuti sei un uomo morto: il gelo non è mica come il governo, non ha pietà. Nella piazza grande, non c’è nient’altro che un albero di Natale, piantato in mezzo, che cola ghiaccio dai suoi rami, e quella statua di Lenin con la mano protesa nello sguardo, oltre la luce opaca che ricopre l’aria. Quelli che l’attraversano hanno solo il naso e gli occhi liberi. Fanno dei fumi che si mischiano nella foschia. Ci sono posti dove vivi peggio che dentro un congelatore. A Yakutsk, questa remota cittadina della Siberia dell’Est con 200 mila abitanti e una sola strada bianca per arrivarci, chiamata la «via delle ossa», costruita sotto questa cappa di ghiaccio dai detenuti del Gulag, hanno toccato persino i 63 gradi sotto zero. La media di gennaio è di 49,9, che è come dire che noi forse ci moriremmo in neanche mezz’ora: un normale congelatore fa 20 gradi sotto zero. Loro ci vivono. Nina, che vende il pesce al supermercato, dice che ci sta bene: «Mai avuto nessun problema di salute». La gente continua a lavorare fino a quando la temperatura non scende sotto i 50 gradi. E i bambini vanno a scuola fino a che non è sotto i 55. Per loro sarà pure normale. Per chi arriva da fuori bastano 13 minuti a meno 43 per rischiare il congelamento. Solo dopo mezz’ora al caldo nella camera d’albergo, il corpo riprende a muoversi, dolorosamente, con i crampi. A quella temperatura, i bambini giocano nella neve e ridono felici. Un giornalista dell’Independent, Shaun Walker, qualche giorno fa ha preso su i bagagli e li ha riempiti di scarponi, maglioni, giacca a vento, sciarpe, per prendersi la briga di andare a vedere come si fa. All’inizio di gennaio, Yakutsk aveva occupato le pagine dei giornali, perché erano scoppiate delle condutture che avevano provocato un mucchio di problemi a due villaggi, Artyk e Markha, rimasti un bel po’ di tempo senza riscaldamento. A ripensare a quelle temperature e a quel gelo, la cosa strana è che non era morto nessuno. Il fatto è che a meno cinque, il freddo è abbastanza rinfrescante, e un cappello neanche troppo pesante e un bel giubbotto in fondo ti bastano per stare al calduccio. A meno 20, la temperatura di un congelatore, si comincia a soffrire. Ma a meno 35 l’aria è abbastanza forte da gelare velocemente la pelle rimasta allo scoperto: uno deve stare attento, perché corre davvero il rischio di diventare un ghiacciolo. A meno 45, persino portare gli occhiali diventa difficile: il metallo si appiccica alle guance e tirarlo via significa tirar via anche pezzetti della pelle. A meno 50, francamente non abbiamo capito come si faccia a sopravvivere. Però, loro ce la fanno, visto che in quei giorni di gennaio che erano rimasti senza riscaldamento le temperature avevano toccato proprio quella soglia (quando si dice che piove sul bagnato), e la televisione mandava cronache da un altro mondo, inseguendo dei signori imbacuccati che scappavano avvolti in una strana foschia, come degli alieni nell’orbita di un pianeta lontano. Quando Shaun Walker ha fatto la sua prova, c’erano meno 43 gradi e la città era velata da un banco di foschia che restringeva la visibilità a neanche dieci metri. Lui racconta che all’inizio non gli sembrava neppure così brutto. «Solo il piccolo pezzo della mia faccia esposta registrava l’aria fredda, ma per il resto sembrava tutto ok». Pochi minuti e cambiò idea. Cominciò a pizzicargli la parte della faccia non coperta. Poi, quella sensazione divenne dolore: la sentì intorbidire e alla fine come paralizzata, una sensazione molto pericolosa, perché significa che il sangue che fluisce sotto la pelle s’è fermato. Ancora qualche minuto e il freddo cominciò a penetrare pure i suoi guanti e a ghermire le dita, e dopo le orecchie, nonostante il cappello che le proteggeva. Alla fine tutto il corpo era dolorante. Rientrò di corsa in albergo e guardò l’orologio: erano passati appena 13 minuti. La cosa consolante, magari, è che Yakutsk è considerata estrema pure per gli standard siberiani. Per farsi un’idea, a Mosca il massimo è meno 30 gradi. Qui la media è meno 50. Si arriva qui dopo 6 ore di viaggio in aereo dalla capitale russa, pagando 500 euro. L’unica strada percorribile è la «via delle ossa», un rettilineo sperduto nel gelo lungo 1200 miglia. Ci passano i camion e viaggiano solo in coppia: un guasto su una strada così poco frequentata e con queste temperature significa morte sicura. Se il Tir si ferma, il conducente lo abbandona e sale sull’altro. Se stai all’aria aperta più di 10 minuti e non sei uno di Yakutsk, la faccia diventa rossa come un peperone e i muscoli si paralizzano. Al caldo per riprendersi ci vuole almeno un quarto d’ora, tra fitte e crampi che cominciano dalle gambe e si allungano su tutto il corpo. Pure i camionisti che arrivano qui non riescono a capire come fanno quelli del posto. Li vedono che vanno tutti tranquillamente a lavorare, le donne con delle pellicce lunghe fino ai piedi e i bambini con due o tre guanti sulle mani. D’estate, invece, la temperatura sale sui 30 gradi, ma non dura più di tre settimane, ricoperte da sciami di mosche e zanzare. Uno non fa neanche tempo a lamentarsi. Poi ritorna subito l’inverno. A meno 50, ormai, è come un modo di vivere.

Pierangelo Sapegno per la stampa

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