Il ricordo di Simone Moro
E’ morto un mito, se ne è andato un grandissimo uomo, un trascinatore, una persona che ha vissuto tutto con l’intensità che è propria solo di chi è destinato a lasciare un segno indelebile di se. La storia dell’alpinismo bergamasco non aveva mai avuto nessuno di così forte personalità e grande carisma. Il Camos lo conoscevano tutti nell’ambiente verticale e persino in Nepal, in Kazakhstan, a Mosca in Asia centrale ed in California lo avevano conosciuto, sentito il suo nome ed intuito che era una leggenda vivente. Un uomo vero, senza fronzoli, false cortesie, dal carattere a volte spigoloso e mai incline a tacere le sue idee ed opinioni. Camos non era un Santo ne voglio ora dipingerlo come Martire. Camos era semplicemente vero, cristallino e schietto in ogni sua parola, sguardo, gesto, silenzio.
Dare ora una ragione della sua morte è cosa impossibile per le terrene logiche e a nulla servirebbe dannarsi l’anima chiedendosi mille “perché” o ponendo mille “se” e “ma”. Il Camos, il nostro Bruno Tassi aveva una missione quaggiù e fino all’ultimo giorno l’aveva fatta sua e percorso la propria strada in ogni angolo del pianeta senza badare molto alle convenienze e alle fatiche che questa missione comportava.
Erano quasi 30 anni che lavorava alla sua grande passione verticale e la montagna era divenuta la cattedrale dove trovava e ritrovava la parte più profonda, misteriosa e selvaggia della sua esistenza. In questi ultimi tre decenni aveva conosciuto ogni angolo della sua valle Brembana e aveva goduto ogni elemento naturale della stessa. Aveva veleggiato con il suo parapendio, avevo sceso le acque del fiume Brembo in canoa, sciato sulle nevi immacolate ed aveva chiodato ed attrezzato le pareti più lisce e strapiombanti in ogni angolo della valle.
Zogno, Ambria, Catremerio, Monte Zucco, San Pellegrino, Portiera, Scalvino, Cancervo, Val Taleggio, Val Brembilla, Corno Branchino, Roncobello, Valleve, San Simone, Carona sono stati alcuni dei luoghi dove ha trascorso giornate chiodando pazientemente centinaia di vie e creando i presupposti per cui oggi decine e decine di appassionati possono praticare l’arte dell’arrampicata e gioire del contatto con la pietra e la natura. La Corna Bianca a Cornalba in Val Serina è stata però la sua più grande e strepitosa creazione. Migliaia di ore passate in parete e migliaia di chiodi lasciati per coloro che oggi godono di un impianto naturale all’aperto che ha pochi eguali in Europa e nel mondo.
Camos però ha fatto anche proseliti e “discepoli” del suo modo di intendere e vivere la passione per la montagna e la verticalità. E’ stato dunque anche e soprattutto un maestro, un caposcuola una instancabile locomotiva umana e decine sono stati i suoi allievi. Chi scrive sa di essere stato forse quello a cui ha dato ed insegnato di più, senza mai chiedere nulla in cambio. Io ero orgoglioso di lui e probabilmente lui lo era di me… La missione ora deve continuare e come per ogni nostro caro passato ad un’altra vita, qualcuno si deve fare carico di raccoglierla. Tra meno di 48 ore ripartirò per il Karakorum con un angelo in più in cielo, che va ad aggiungersi ad altri due amici scomparsi in questo 2007. Come me tutti coloro che hanno conosciuto il Camos sono oggi chiamati a raccogliere la sua eredità che non chiede di essere solo pianta e commemorata, ma di essere caricata sulle spalle di coloro che hanno avuto la fortuna di averlo conosciuto ed imparato.
Simone Moro
da mountainblog
La ringrazio per intiresnuyu iformatsiyu
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