Piacealb l’è sciupà
Lunedì mattina Giovanni, giudicando che ci siamo sufficientemente riposati, decide che è giunto il momento di farci fare un percorso ad anello: dal monte Rosetta al Rifugio Pradidali e ritorno: di buon mattino, quindi, prendiamo la funivia che da San Martino conduce al Rifugio Rosetta e subito saliamo ai quasi 3.000 m. dell’omonimo monte, sulla cima incontriamo due simpatici ragazzi di La Spezia (Elena e Claudio) i quali decidono di unirsi alla nostra allegra brigata. Scesi dal monte iniziamo un lungo percorso in mezzo ad un paesaggio “lunare” fatto di rocce e di innumerevoli nevai (alcuni dei quali parecchio e
stesi e non sempre facili da attraversare) ma la nostra fatica è ricompensata dallo stupendo panorama che ci circonda e dalle sagaci battute del Segre del tipo: “coraggio che la vita è un passaggio” ed altre amenità di questo genere. Dopo poco più di 4 ore di cammino raggiungiamo finalmente il Rifugio Pradidali dove ci concediamo un meritato riposo. Una volta rinfrancati (certamente più nello spirito che nel fisico) riprendiamo il nostro percorso iniziando con una ripida e lunga salita che, a stomaco pieno come noi siamo, si dimostra subito oltremodo piacevole. Terminata la salitella ecco presentarsi davanti ai miei occhi (ormai prossimi alle allucinazioni del tipo di quelle della Tesoriera Angela) un bellissi
mo tratto di qualcosa che sarebbe eufemistico definire sentiero (in quanto spesso il sentiero non c’era) dotato, bontà sua, di un provvidenziale cavo d’acciaio ma, anche in questa circostanza, interviene il mio tutor Franco ed in qualche modo riesco a superare l’inaspettata asperità. Iniziamo, quindi, a percorrere un bellissimo e comodo sentiero pianeggiante (ci concediamo perfino una merendina a base di uovo sodo) ed io, meschino, inizio a pensare che le mie sofferenze siano giunte al termine quando, come per un crudele scherzo del destino, ecco pararsi innanzi a noi una nuova montagna che dobbiamo necessariamente scalare per salire in Val Roda e, quindi, raggiungere la funivia per rientrare in paese, scoprirò più tardi che, in effetti, la “montagna” era solo di 300 m. di dislivello ma, date le mie condizioni, mi sembrava il K2 A questo punto, ormai sicuro che le tribolazioni della mia vita terrena siano terminate, mentre vedo le figure dei miei amici (ormai molto più in alto) confondersi nella nebbia che si sta abbassando, mi faccio un rapido esame di coscienza e cerco di pensar
e a cosa poter lasciare ai miei cari (in particolare al Super Segre) per mia imperitura memoria. Fatto sta che, non so come e non so perché, riesco a trascinarmi fino in cima e, circondato da tutti gli angeli e gli arcangeli del Paradiso, riesco finalmente a dire: “anche questa è fatta !!”
L’imbrago
La giornata di martedì, grazie anche alla mia minaccia di bruciare sulla pubblica piazza la mia tessera del CAI, è dedicata al relax: la nostra gita, infatti, comprende la salita (in auto) al Passo Rolle e di qui alla Baita Segantini, al Castellazzo con arrivo alla Baita Cervino per un ottimo pranzo a base di polenta, funghi, salsiccia e yogurt ai frutti di bosco. Alla sera, a cena, l’ottimo Giovanni fa le ultime raccomandazioni ai valorosi (Angela, Franco, Picci e Stefano) che il giorno seguente dovranno affrontare l’impegnativo sentiero
“Dino Buzzati”: in particolare si raccomanda di portare: casco, guanti e, specialmente, l’imbrago indispensabile per il percorso che li attende. L’indomani mattina, alle 7,30 in punto (per l’occasione il Segre ha obbligato il personale dell’albergo ad una levataccia straordinaria per poterci preparare la colazione) i sopra citati eroi si ritrovano tutti muniti della regolamentare attrezzatura, dopo un quarto d’ora circa scende anche Giovanni che, per chi lo conosce bene come il sottoscritto, non ha certamente la sua aria più soddisfatta e, quel che appare ancora più strano, non sembra attrezzato come si conviene per l’impresa che sta per affrontare. Alla mia timida richiesta di spiegazioni il Segre risponde che si va tutti al Rifugio Velo…. “perché?” chiedo io “perché ho dimenticato a casa l’imbrago!” risponde lui. Fatto sta che partiamo tutti quanti (tranne Rita e Stefano il quale è un po’ indisposto)
alla volta del Rifugio Velo: la prima parte del percorso si svolge piacevolmente (e specialmente in pianura) in un bosco dove il Segre non perde l’occasione di lanciare occhiate furtive sotto gli alberi nella (vana) speranza di individuare qualche funghetto. Ma, si sa, spesso in montagna alla pianura segue la salita così che, dopo la piacevole passeggiata ci troviamo di fronte ad un enorme ghiaione in salita, peraltro dotato anch’esso delle immancabili corde che hanno caratterizzato quasi tulle le nostre escursioni. Terminata la salita giungiamo al sospirato rifugio dove incontriamo quel bel ometto che risponde al nome di Sebastiano Zagonel:
gestore del rifugio nonché guida alpina delle Aquile di San Martino, nonostante la grande quantà di baci ed abbracci profusi dalla nostra amabile Tesoriera, lo smemorato aquilotto, all’inizio, dichiara di non ricordarsi di avere fatto la conoscenza delle nostre 2 G l’anno prima in occasione di una precedente visita, dopo, per levarsi dall’impiccio, dice che si ricorda anche di Picci la quale, peraltro, non è mai stata in vita sua a San Martino di Castrozza e, men che meno, al Rifugio Velo. Dopo l’ottimo pasto consumato al rifugio, prendiamo la via del ritorno: questa volta percorrendo il bel sentiero n. 721 che ci porta, non prima di aver aggirato una immensa frana fatta di neve e sassi, al parcheggio del Caffè Col dove abbiamo lasciato l’auto
Una pallottola per Federico
Giovedì ultimo giorno di escursioni: il nostro itinerario
è rappresentato dal giro del Colbricon con l’attraversamento della Forcella Ceremana, purtroppo la
seggiovia che ci dovrebbe portare alla Punta Ces non funziona così ci vediamo costretti ad affrontare a piedi la lunga e faticosa salita che corre sotto l’impianto. Dopo aver snocciolato tutto il m
io vasto repertorio di apprezzamenti sulla montagna, sui suoi abitanti ed, in particolare, sui gestori degli impianti di risalita, riesco ad arrivare anch’io sulla punta e di qui incamminarmi verso la Forcella Ceremana dove abbiamo il piacere di incontrare una simpatica olandesina (età presunta 120/150 anni) la quale si sta facendo da sola il giro di tutti i passi dolomitici. Oltrepassata la forcella, ivi compresa la discesa lungo una scaletta a pioli di circa 15 metri (noi a causa della neve ne abbiamo fatti solo 3) arriviamo al luogo destinato alla sosta per il pranzo, prima di pranzare, però, Giovanni con Angela e Franco, per mantenere fede ad una solenne promessa fatta a Federico, salgono fino in cima al monte Colbricon per recuperare una grande quantità di reperti della 1° guerra mondiale fra i quali una pallottola inesplosa che farà la felicità del simpaticissimo ragazzino. Dopo pranzo iniziamo la discesa verso la Malga Ces, durante il tragitto incontriamo un bel esemplare di capriolo che, purtroppo, scappa via disturbato dalla presenza di Franco che ha scelto proprio la sua tana per concedersi un momento di raccogliemmo. Dopo una estenuante discesa su pietroni, raggiungiamo la Malga Ces dove ci ricongiungiamo con Carlo, Rita e Stefano che ci hanno preceduto in auto (beati loro) A questo punto la vacanza è finita (ed anche il racconto) un saluto a tutti i miei fantastici compagni d’avventura ed un ringraziamento particolare agli insostituibili Franco e Giovanni
Appuntamento al prossimo anno per una nuova ed indimenticabile vacanza………nei Paesi Bassi
!!!!! Piacealb

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