Rosmino arrivava nel tardo pomeriggio.Indossava sempre pantaloni di velluto alla zuava e un paio di scarponi di cuoio nero,ben ingrassati,leggermente consumati. "Scusate il disturbo" diceva,e si sedeva sul sofà del soggiorno. Vittima e latore di imbarazzo,famoso per i suoi proverbiali silenzi,se ne stava rigido sul cuscino con i piedi sollevati a mezz'aria per non bagnare il pavimento.Allora qualcuno gli portava uno straccio,sempre il solito straccio,e lui posava finalmente gli scarponi sul parquet,le ginocchia giunte sopra i calzettoni di lana grezza.Una specie di preghiera.Per il primo minuto era assente,totalmente spaesato;anche se conosceva i presenti da anni.Poi gli si offriva un bicchierino(sempre la solita cerimonia: Un goccio,Rosmino? Un porto,un genepì?",Ma sì,perchè no) e allora finalmente scopriva che il divano aveva anche uno schienale.Si appoggiava,si rilassava e si trasformava.Accantonando l'impaccio iniziale,recuperava l'uso della parola e cominciava a raccontare.Storie di montagna,poca fantasia e nessun spettacolo. Di solito iniziava il resoconto con l'escursione del giorno,perchè non c'era giorno che Rosmino non andasse a camminare.Ci andava con il sole e con la neve,per lui non faceva differenza.Se c'era il sole diceva:"Che bel sole",se nevicava diceva:"Che bella nevicata". L'importante era andare,un pò per assecondare la vacanza e un pò per riempire il vuoto di una vita da scapolo.Rosmino viveva di poesia(la poesia della natura) ma i suoi racconti erano ingenui,scarni.Oggi a Chanlève ho visto le tracce della lepre;forse era un cane. "Fino a Cheneil non c'era vento,ho sudato anche un pò,ma sulla cresta del Molar si volava via." Al secondo bicchierino si sfilava il maglione e restava in maniche di camicia."Senti Rosmino,e se domani andassimo a fare il Ventina con le pelli?" . "Ma sì,di lì scendono in pochi perchè c'è la neve fresca.I cannibali sono tutti dall'altra parte." "Cannibali?". "Certo non conoscete il cannibale lanciato?" Era la sua definizione preferita,il massimo slancio provocatorio della sua mente gentile.Indicava ogni genere di sciatore che usasse gli impianti di risalita e le piste battute di Cervinia. In senso più lato,abbracciava quell'antropologia urbana che aveva profanato i valori della montagna,riducendola a stadio,parco giochi.Rosmino non era bigotto nè moralista,ma difendeva uno stile di vita consono alla propria semplicità.Soprattutto cercava compagnia,e sapeva adattarsi:Tollerava i miei amici cannibali,e anche le (rare) donne del gruppo,aspettandole,incoraggiandole,rispettandole.Non gli ho mai sentito pronunciare una parola maschilista,secondo la logica tipica degli uomini soli e di certi ambienti montanari. Era candido anche in questo. Non so quanti anni avesse Rosmino,perchè era un uomo senza età,ma sono sicuro che la maturità non gli ha mai impedito di sognare le montagne con i miei occhi adolescenti,gli stessi occhi innamorati. La passione non ha tempo. Se ci si avventurava per neve con le pelli di foca,lui andava davanti perchè era il più esperto del gruppo;aveva il"previlegio" da battere la pista. Quasi sempre capitava che qualcuno gli salisse sulle code degli sci: il tipico errore dei principianti.Altri si sarebbero seccati(già affondi e ancora ti fanno zoppa l'andatura),mentre lui diceva soltanto:"Attento che ti rovini le pelli".Io ero fiero di averlo come compagno,Rosmino,e imbarazzato per via della differenza di età. In montagna gli davo del tu e in paese me la cavavo con dei "Salve Rosmino", "Come va?",come fanno i ragazzi timidi per non essere scortesi. A lui certo non importava. Era diventato suo malgrado famoso per avere assistito alla morte del povero Camillotto Pellisier,il solitario salitore del Kanjut Sar,una delle grandi guide del Cervino. Era successo sul primo tratto della Cresta Albertini,mentre guida e cliente salivano legati al bivacco per fare la Dent d'Herens l'indomani.Nessuno sa esattamente perchè Camillotto sia precipitato,probabilmente un malore,ma al povero Rosmino che se ne scese tutto solo a Cervinia in preda al panico per dare l'allarme vennero attribuite ombre e sospetti più grandi di lui,inadeguati alla persona e alla circostanza.Pellisier fu sepolto con gli onori che meritava,mentre del cliente,un pò strano e taciturno,non si parlò mai apertamente,piuttosto si sussurrò,si malignò,si avanzarono congetture come capita spesso nei paesi e nelle valli chiuse. Fu un modo per uccidere anche lui. Quando lo incontrai quattro o cinque anni dopo l'incidente,Rosmino si portava ancora addosso quelle insinuazioni da cui non sapeva liberarsi.In due o tre vacanze che passammo insieme non ci parlò mai di Camillotto,della Dent d'Herens. Penso che l'incidente l'avesse cambiato,aggiungendo uno sfondo malinconico alla sua indole solitaria,una sorta di pathos che lui stesso non riconosceva come proprio e faticava a gestire.Alla fine,quella brutta storia finì per dividere anche noi. In seguito alla morte di Pellisier,aveva smesso di arrampicare,il che non ci impediva di camminare insieme,ma quando la roccia entrò prepotentemente nei miei pensieri frequentai cime diverse,più difficili,più rinomate.Lo sapevo sempre fedele al solito meublè sulla strada del Breuil,un posto tranquillo per turisti senza pretese,e talvolta lo spiavo tornare dalle escursioni estive e invernali con il bello e il cattivo tempo,quasi sempre solo o con compagni di fortuna. Credo che un giorno mi dimenticai di Rosmino,inutile negarlo,finchè molti anni più tardi,condividendo una sosta precaria con due ragazzi di Valenza sulla via del Nautilus al Sergent,in valle dell'Orco,buttai lì senza convinzione:"Non è che per caso conoscete un tizio che si chiama Rosmino?". Risero. Tutti a Valenza lo conoscevano,almeno quelli che andavano in montagna."Come sta?" cercai di approfondire."Rosmino è sempre uguale" mi assicurarono."Quanti anni avrà adesso?" "Mah?,chissà,forse non lo sa nemmeno lui.""E cosa fa di bello?" "Va in bicicletta e va in montagna,come sempre." Certo,come sempre. Mentre li seguivo sull'Ultimo tiro del Naytilus mi dissi che era andata bene,ero scampato a un pericolo. Avevo aperto e richiuso il cesto dei ricordi senza troppi danni. Avrei forse preferito un Rosmino cambiato,sistemato,imborghesito? No, egoisticamente era giusto così.A distanza di vent'anni il solitario minimalismo montanaro di Rosmino mi sembrava una risposta assai più onesta di tante infedeltà,tradimenti che la vita ci butta addosso provocando la nostra pazienza. Se la felicità consiste nel restare se stessi,allora Rosmino ci era riuscito;E se la vita è un mistero,allora lui aveva vissuto.
Piero Rosmino,vive a Valenza ed è socio della Sezione CAI.
Enrico Camanni e Piero Rosmino a distanza di anni si sono incontrati e abbracciati nel marzo 2006 in occasione dell'inaugurazione della nuova sede CAI intitolata a Davide Guerci
il Segretario
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BELLO QUESTO POST
RispondiEliminamolto bello e toccante, bravo!
RispondiEliminaCondivido gli apprezzamenti per questo bellissimo articolo.
RispondiEliminabellissimo libro, sembra così strano che l'unico personaggio vivo sia Rosmino.Lo conosco molto bene da 4 anni,è uno strano personaggio,difficile da capire,mi ha raccontato la tragedia di Pellissier,ma vorrei saperne di più.Vado a camminare in val d'ayas con lui, mi ha insegnato tante cose e fatto passare tante paure,ma certe volte non lo capisco.
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