venerdì, febbraio 14, 2014


Il racconto del nostro amico di Lorenzo  del rifugio Miryam

 


             Il mio inverno nel bianco da due settimane

                  lo al rifugio Miryam


OGGI se va bene arriva il pane fresco. Quando questa mattina mi ha chiamato Erwin, uno dei due guardiani di turno alla diga del Vannino, chiedendomi se avevo bisogno di qualcosa, ho pensato al pane. In questi giorni me lo sono fatto io, quello scuro coi semi di girasole.
 Ma avevo voglia delle pagnotte del forno di Formazza. 
Stamattina i guardiani hanno fatto il tiro della teleferica dell’Enel: due carrelli con un po’ di rifornimenti. Dopo andrò su in diga a prendere il mio pane con gli sci e le pelli di foca. Dovendo battere traccia ci vorrà un’ora e mezzo, forse due, tra andata e ritorno. 
Sempre che la visibilità migliori e l’intensità della nevicata diminuisca. I «vicini di casa» sono solo loro, due chilometri più a monte. In tutta la valle, che corre tra i 2000 del rifugio Miryam in cui mi trovo e i 2200 metri, siamo rimasti solo in tre.
 Prima che arrivassero le perturbazioni abbiamo disdetto le prenotazioni e nessuno è più salito. Sabato mattina si è aperta una finestra di tempo discreto, così io e i guardiani siamo andati al cavalletto n°5 della teleferica, che dà su un salto di rocce alto 300 metri,
 per liberarlo dalla neve: quando è molto alta arriva fino all’arcata superiore e, nel punto in cui il cavo cambia pendenza, non permette ai carrelli di passare. 
Sono il gestore del rifugio, che gestisco con Cecilia, la mia compagna guida alpina a valle per impegni legati all’altra sua professione. Fino a qualche anno fa facevo il giornalista in una redazione di Torino, poi ho cambiato vita. 
Adesso scrivo ancora, ma da qui. Con oggi sono al 13° giorno di isolamento completo da quando ha iniziato a nevicare mercoledì 29 gennaio.
 Dall’inizio dell’inverno ne sono venuti giù cinque metri. Sono al rifugio dal 26: sedici giorni filati senza mai scendere e senza che nessuno sia salito a causa delle valanghe che cadono quasi tutti i giorni. Vengono giù un po’ ovunque, non solo dove ce le si aspetta.
 Non solo dove il pendio è ripido. All’Alpe Devero, nella valle vicina, hanno chiuso persino la strada asfaltata per la caduta di una valanga. La settimana scorsa sono andato a fare una perlustrazione sulla pista invernale che porta a valle.
 La traccia era scomparsa e bisognava batterla, sprofondando fino al petto. Mi sono spinto fin dove il terreno è sicuro. O almeno così credevo. 
Poi mi sono trovato di fronte a una valanga caduta da poche ore, in un punto dove non l’avevo mai vista. Ha attraversato la strada estiva, travolto i cartelli segnavia, oltrepassato la traccia invernale ed è andata a finire nel torrente. In un punto dove la pendenza è scarsa. Come quella della val Passiria. Ha preso velocità in alto e poi è avanzata anche sul piano. L’ho vista in televisione quella valanga che limava i masi.
 Episodi eccezionali che si verificano dopo grandi nevicate come queste. La televisione e internet e il telefono ci sono, anche se bisogna lottare per mantenerli in queste condizioni. I cellulari qui non prendono e il fisso funziona con un ponte radio.
 Quindi con un’antenna. In queste due settimane sono salito sul tetto quasi tutti i giorni a liberare le antenne, perché la neve cercava di coprirle. E per tre giorni il telefono è stato muto e internet non andava, perché a volte i fiocchi sono troppo fitti.
Adesso sto guardando fuori: viene ancora che dio la manda. Speriamo non ne faccia troppa, altrimenti prima che si assesti occorrerà aspettare altri 3 giorni per tentare di scendere a valle. Quando si scende dopo nevicate abbondanti bisogna sempre tenere un occhio a monte nei punti critici. Meglio andare in due. Uno avanza un pezzo e si porta al sicuro. Poi viene l’altro. Con l’arva, la pala e la sonda sempre nello zaino.
Anche i guardiani del turno precedente sono rimasti bloccati e hanno dovuto prolungare la loro permanenza. Poi però l’Enel ha mandato l’elicottero a “liberarli”, in tutte le dighe della zona, e sono saliti i sostituti. È successo giovedì scorso, quando il cielo si è aperto ed è uscita una giornata bellissima. Io sono rimasto al rifugio. Si può scendere uno o due giorni, ma se si annunciano situazioni come questa, in cui l’isolamento è lungo, si deve restare: bisogna tenere i muri caldi, altrimenti l’acqua gela.
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