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giovedì, luglio 10, 2014

Sulla GTA non si parla italiano

La Grande Traversata delle Alpi
è frequentata soprattutto da tedeschi e olandesi. Gli italiani ignorano
lo spirito con cui va affrontata:
usare i piedi per attivare la testa
di Enrico Camanni 
La Stampa  10.luglio 2014

La Grande Traversata delle Alpi era una bellissima idea: «Camminare in montagna per giorni e giorni su sentieri e mulattiere, passare da una valle all’altra, scoprire sempre nuovi ambienti, tra boschi e pascoli, alpeggi e borgate… Per rendere accessibile a tutti questa esperienza, un gruppo di appassionati della montagna con la collaborazione delle Comunità montane, della Provincia di Torino e della Regione Piemonte, sta segnalando un itinerario su sentieri dalle Alpi Liguri al Lago Maggiore e sta allestendo punti di pernottamento gestiti dagli abitanti del posto». Così scriveva nel 1981 la storica guida verde della GTA, a cura del Centro di documentazione alpina di Torino, l’editore della Rivista della montagna. 
Ora che sono passati più di trent’anni e che Priuli&Verlucca propone con La Stampa l’edizione aggiornata del vademecum per le Alpi occidentali, c’è da chiedersi se sia un atto di fede o di nostalgia. Perché quella che era stata un’idea pilota per tutte le Alpi, e un atto di fiducia nella capacità pubblica e privata di organizzare intorno all’idea forte dell’escursionismo il futuro del turismo dolce della montagna, si è rivelata una proposta apprezzata quasi esclusivamente dai tedeschi e dagli olandesi, paradossalmente pubblicizzata da editori d’oltralpe e personaggi di larghe vedute come il geografo Werner Bätzing, straniero anche lui. Il sentiero che ha avuto più successo, ma mai per gli italiani, è stato quello che unisce la valli del Cuneese – Stura, Maira, Varaita – dove le pendenze sono più morbide e soprattutto c’è un ambiente umano e naturale più conservato, meno sottoposto agli stress del turismo invernale di massa. Lo stesso ambiente si trova nelle Valli di Lanzo, Orco e Soana, ma lì la GTA ha avuto ancor meno fortuna. 
Nel nuovo millennio, senza forse riflettere abbastanza sui perché del fallimento novecentesco, si è ripartiti con l’ambizioso progetto europeo della Via Alpina, che non si limita a traversare le Alpi occidentali ma collega l’arco intero da un mare all’altro. E anche la Via Alpina è rimasta in mano, o meglio nei piedi degli altri, non solo perché gli italiani la ignorano, ma anche perché – nonostante la partecipazione della Regione Piemonte – è decollata solo oltre frontiera, soprattutto nelle regioni di lingua tedesca. 
Si possono fare due considerazioni, almeno per capire. La prima è che in Italia, e in particolare nelle Alpi piemontesi e lombarde, pochissimi credono nelle reali potenzialità del turismo escursionistico, che ha bisogno di tempi lunghi per affermarsi e di un retroterra formativo adeguato. Ed ecco la seconda considerazione: in Italia non cammina nessuno, tutti corrono e pedalano ma nessuno “scarpina”, come si dice senza troppo amore, forse perché scarpinare è faticoso – ma correre non lo è? – e certamente perché non rientra nell’orizzonte culturale del turista. 
Alla fine, ed è un altro paradosso, scappiamo esattamente dalla nostra ignoranza, perché confondiamo l’escursionismo con la sudata sul sentiero della polenta o con la galoppata occasionale ai confini dell’infarto. La Grande traversata era e potrebbe essere tutta un’altra cosa: usare le gambe per conoscere e respirare meglio, servirsi dei piedi per riattivare la testa.